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"Collegato lavoro", una legge da conoscere

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Dopo l’approvazione definitiva del Parlamento, è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la legge 183 del 2010, altrimenti nota come “collegato lavoro”. La legge è entrata in vigore il 24 novembre. In essa sono contenute innovazioni normative di grande rilievo anche per i rapporti di lavoro giornalistico. Per eventuali contenziosi su contratti a termine e contratti di co.co.co. scaduti prima dell’entrata in vigore delle nuove norme, le impugnative devono essere presentate entro il 23 gennaio 2011 e 270 giorni per il deposito del ricorso. Pubblichiamo un’analisi del testo che l’avvocato Bruno Del Vecchio ha predisposto per la Fnsi, preceduta da una guida breve per una consultazione immediata.

Le norme di legge che possono specificamente riguardarci sono quelle relative:

  1. All’articolo 30 (clausole generali e certificazioni del contratto di lavoro) il quale prevede che in caso di vertenza giudiziaria relativa ad un rapporto di lavoro certificato, sia per quanto riguarda la qualificazione del contratto, sia l’interpretazione delle singole clausole, il giudice non può discostarsi dalle valutazioni che le parti hanno espresso. Infatti, si prevede esplicitamente che «il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell’ordinamento, all’accertamento del presupposto di legittimità e non può essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive» che sono di esclusiva competenza del datore di lavoro. Questo principio, già codificato dalla giurisprudenza di Cassazione, è esteso, con la nuova norma di legge, a tutte le vicende attinenti il rapporto di lavoro. Ovviamente, la normativa riguarda i rapporti di lavoro certificati, che, come è noto, sono quelli introdotti dalla “legge Biagi”, che sino ad oggi, tuttavia, hanno avuto una scarsissima diffusione. A quello che ci risulta, non esistono nel nostro comparto contratti di lavoro certificati. Di norma, i contratti di lavoro individuali dei giornalisti si richiamano al contratto nazionale di lavoro senza che venga richiesta la sua certificazione con clausole aggiuntive.
  2. All’articolo 31 (conciliazione ed arbitrato) che modifica l’articolo 410 del codice di procedura civile, il quale prevedeva che prima di attivare un procedimento giudiziario inerente il rapporto di lavoro, era obbligatorio un tentativo di conciliazione. Da oggi, invece, il tentativo di conciliazione diventa facoltativo ed è, quindi, possibile rivolgersi immediatamente all’autorità giudiziaria. La nuova norma non prevede più l’ipotesi di  procedure di conciliazione definite nei contratti collettivi. L’eventuale conciliazione potrà essere richiesta, tramite l’organizzazione sindacale di appartenenza, alle commissioni di conciliazione costituite presso la direzione provinciale del lavoro. Il tentativo di conciliazione, prima di adire le vie legali, rimane obbligatorio per i contratti di lavoro certificati.
  3. All’articolo 32 (decadenze e disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo determinato), che modifica l’articolo 6 della legge 604 del 1966 e prevede che il licenziamento (anche nei casi di sua invalidità) deve essere impugnato in forma scritta a pena di decadenza entro 60 giorni dal ricevimento della sua comunicazione. Il lavoratore può impugnare il licenziamento con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, purché sia idoneo a manifestare la sua volontà e anche tramite l’intervento dell’organizzazione sindacale di appartenenza. Entro 270 giorni dal momento dell’impugnazione, a pena di decadenza, il lavoratore licenziato deve depositare nella cancelleria del tribunale competente, in funzione di giudice del lavoro, il relativo ricorso, ovvero, può richiedere, anche tramite l’organizzazione sindacale di appartenenza, un tentativo di conciliazione o arbitrato. In questo caso, la richiesta può essere fatta alla commissione di conciliazione costituita presso la direzione provinciale del lavoro.
    Gli stessi termini e le stesse modalità si applicano: 1. ai licenziamenti che riguardano la qualificazione del rapporto di lavoro o la legittimità del termine apposto al contratto; 2. quando il datore di lavoro ponga fine a un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa; 3. nei casi di trasferimento.
    Questa nuova disposizione normativa assume particolare rilievo per la sua estensione ai contratti a termine, ai contratti di collaborazione coordinati e continuativi e alle varie forme di precariato. Come è evidente, infatti, può capitare che un giornalista cumuli nel tempo diverse forme precarie contrattuali o contratti a termine con lo stesso editore. Nel regime precedente gli era consentito agire in sede giudiziaria per il riconoscimento dei propri diritti al termine dell’intero rapporto. Oggi, invece, con la nuova normativa, il termine di prescrizione di 60 giorni si riferisce ad ogni singolo contratto a termine o contratto di collaborazione coordinata e continuativa.
    Peraltro, tale nuova disposizione si applica anche ai contratti a termine in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della nuova normativa, nonché ai contratti a termine che si siano conclusi in data antecedente. Per questi ultimi i lavoratori interessati possono procedere all’impugnativa entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge. Quindi, entro il 23 gennaio prossimo.
  4. All’articolo 32 comma 5, il quale prevede che nei casi di conversione del contratto a tempo determinato il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo una indennità unicomprensiva, nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e di un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Dalla lettura della norma non è assolutamente chiaro se il lavoratore che ha impugnato la risoluzione di un contratto di lavoro a termine ed ha ottenuto dal giudice il riconoscimento della illegittimità della risoluzione del rapporto debba essere reintegrato o se debba essere soltanto risarcito. La norma non è chiara. Noi, ovviamente, sosteniamo, cosi come ha chiesto un ordine del giorno del Senato, che il risarcimento deve essere accompagnato sempre dal reintegro.
  5. All’articolo 32 comma 6, il quale stabilisce che quando i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali prevedono l’assunzione a tempo indeterminato di lavoratori già occupati con contratto a termine, in caso di procedimento giudiziario che dovesse riconoscere l’illegittimità del contratto a termine, l’indennità risarcitoria di cui al comma precedente è ridotta del 50 per cento.
    Anche in questo caso si pone la questione interpretativa posta per il comma 5, ovvero, se il risarcimento debba intendersi come sostitutivo della reintegrazione nel posto di lavoro.
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